Ecco: io trovo sia singolare come tutte le cose verso cui in principio ho nutrito una paura profonda, siano anche le stesse che una volta affrontate mi sono venute meglio. E strada facendo ho scoperto come in realtà non fossero nemmeno poi così spaventose come invece me le ero accuratamente dipinte. Da una parte la paura fottuta, dall’altra l’opportunità del successo: ed io nel mezzo, dilaniata come su uno di quegli strumenti di tortura medievale attraverso cui, con una personale interpretazione della passione cristiana, gli inquisitori allungavano e slogavano membra.
Ogni argomento importante necessita di una degna introduzione.
Degna, sì: ma anche concisa.
Veniamo al punto: correva l'anno 2009. Che io stessi commettendo qualcosa di cui mi sarei pentita a breve, mi fu chiaro già sul volo di rientro a Milano. Un neon visibile soltanto a me, lampeggiava a intermittenza stroboscopica in coda alla fusoliera, recitando una frase che lasciava pochi margini di interpretazione: “Fine della storia. E questa cagata è solo colpa tua.”
Un paio di giorni dopo il mio dissennato ritorno mi ero resa conto che avrei dovuto fare qualcosa che mi distraesse dalla consapevolezza di essermi cacciata con le mie stesse mani nell’ennesimo puttanaio. Camminavo lungo le vie del paesino dimenticato da Dio in cui abito: la ristrettezza e la ridondanza immutata di quelle strade note mi stava soffocando.